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I.

Stile e stilistica.

Ordinariamente l'espressione dei nostri pensieri è indirizzata ad un effetto che vogliamo produrre negli altri, nel quale è il fine del nostro discorso: sicchè la parola, solo quando ha questo potere di muover l'animo o la mente altrui, si dice efficace. Essendovi dunque un tal fine e più operazioni ad esso dirette, vi dev'essere anche un'arte che ve le diriga. Quest'arte, naturale ad ogni uomo che parla con sentimento, usando le parole come le dettano la mente che pensa e il cuore che sente, sotto il governo della volontà, dà al discorso quel carattere particolare che rappresenta l'indole di chi parla; e si chiama stile.

Lo stile è dunque l'espressione propria d'una certa indole di mente e di cuore determinata in un certo modo dalla volontà che mira a un effetto: e di studiar

questo modo s'ocsintassi, che dà le

cupa la stilistica; per ciò differente dalla regole degli usi di una lingua diventati comuni e costanti, per quel che riguarda il modo di ordinar più parole ad esprimere pienamente un solo pensiero. Sicchè alla sintassi appartiene la costruzione delle parole; alla stilistica la scelta, l'ordine e il nèsso, e delle cose da dire e delle parole convenienti. Per esempio, a misurare il ritmo d'un dato movimento in un intervallo di tempo, come i battiti del polso in un minuto primo, basta un orologio che vada bene, qualunque sia l'ora

che segni; ma per regola di un'azione che cada in un tempo determinato, come per arrivare a un appuntamento, bisogna che l'orologio segni l'ora giusta. E però le forme del parlare che la sintassi considera staccate dal discorso, non hanno vita in realtà che nel discorso, cioè dalla vita dello spirito di chi parla; e il considerarle isolate è artifizio momentaneo, come dell'anatomista studiare una parte divisa dal corpo umano: studio che dev'esser fatto pensando che sulla tavola anatomica non ci stanno che i morti.

Ma è da aggiungere che, come gli uomini singoli, così le società umane (famiglia, nazione, stirpe, qualsiasi comunità) hanno certi caratteri d'ingegno e d'animo propri e distinti, per i quali più facilmente acquistano certe abitudini di stile, o vengono a mancarne: sicchè quel che si dice genio nazionale non è nome vano 1. E così anche i modi propri dell'ingegno e del volere di un solo o di pochi, rispondenti a questi caratteri, sanzionati dal consenso e resi abituali dall' uso di una comunità, possono a poco a poco diventare di tutti.

Quindi v'è anche uno stile comune a tutto un popolo, in quanto la lingua, che raccoglie questi usi diventati comuni, ama in un certo modo e in una certa misura i pregi che abbiamo detti dello stile, secondo l'ingegno di quel popolo e la disposizione e l'intensità del volere.

Parti dello stile.

La parola stile comprende anche le cose delle quali parliamo, in quanto la scelta dei luoghi onde s'attingono e di esse è la prima operazione di chi vuole produrre, parlando, un effetto particolare. Così l'architetto sceglie la cava per le

1. G. E. PARODI, in Bull. Soc. dant., vol. X, nuova serie, fasc. 3, pagg. 57-77. V. E. BOVET, Nationalité, in Wissen und Leben, 1 août 1909 (Zürich).

pietre del suo futuro edifizio, e le pietre cavate; e se questa scelta non è indifferente per lui, quanto meno sarà per chi parla? potendo la differenza essere quanta è tra il vero e il falso, e quindi quanta tra la sincerità e la finzione. Poichè, come intendendo l'uomo ha per oggetto le cose e i fatti, non le proprie idee, che sono solo mezzi ad intendere; così parlando l'uomo di mente sana si propone dir cose e fatti (o in particolare, o in generale, o come tipi ed esempi idealmente veri) non le proprie idee indipendenti da essi: onde, per esempio, la lode d'un poeta vero a rimprovero dei vani verseggiatori :

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Ora questa fede nella verità delle cose che diciamo, e nelle fonti alle quali le attingiamo, sia la ragione, sia l'autorità, dà alle parole una gravità e un'efficacia, che i vani sogni e le ciance non possono avere; e di qui nasce la prima virtù dello stile la sincerità.

E oltre che per questo, la materia può differire per la natura, per il genere, per il valore morale, per l'importanza, per l'intonazione. Per esempio, la descrizione dei costumi delle api quale la dà il naturalista è altra da quella che dà il poeta, come Virgilio: perchè il naturalista non si ferma ad ammirare nel provvido istinto che muove le piccole operaie un fine, che esse inconsapevoli non si posson proporre, e per cui pure operano obbedienti, nè nella loro natura e nei costumi vede un'immagine della vita umana; e il poeta invece le sente nel loro lavoro nescio qua dulcedine laetae. 2 Così la stessa materia ch'è trattata dal naturalista, animata dal poeta dell'anima del sentimento e illuminata dalla luce dell'immaginazione, cambia natura. Così anche il cattivo esempio d'un principe pervenuto al

1

BERNI, di Michelangelo, nel Capit. a Sebastiano del Fiombo. 0. F. B. per ANTONIO VIRGILI, Firenze, Lemonnier, 1881; pagina 467 segg. Cfr. MANZONI, Opere inedite o rare, vol. V, pag. 354, Georg., IV, 54.

2

principato per via di scelleratezze, non inteso freddamente, ma sentito nell'íntimo, al paragone con la legge morale riconosciuta e temuta, nella mente di Shakespeare ha prodotto il Riccardo III; mentre l'esperienza d'esempi simili, nella mente del Machiavelli, ha prodotto il libro dove con passione intensa e morale impassibilità si descrive l'idea del principe, che a servigio dell'ambizione, e sia pure per raggiungere un nobile fine, si fa un'abominevole arte senza riguardo alla giustizia dei mezzi. Così la stessa materia, elaborata da menti in diverso modo disposte ed educate, ha preso la forma di due generi differenti: il dramma e l'esempio politico. Quanto all'importanza, il Galateo ci ricorda:1 la materia che si propone nel conversare « non vuol essere nè frivola nè vile, perciocchè gli uditori non vi badano e perciò non ne hanno diletto, anzi scherniscono i ragionamenti ed il ragionatore insieme ». Così quanto all'onestà: « Vuolsi diligentemente guardare di far la proposta tale, che niuno della brigata arrossisca o ne riceva onta». E quanto al tono di sentimento, per quel che riguarda le circostanze: « Nè a feste nè a tavola si raccontino istorie maninconose, nè di piaghe, nè di malattie, nè di morti o di pestilenzia, nè d'altra dolorosa materia si faccia menzione o ricordo ». E, in quanto il tono dev'essere conveniente al soggetto, il Tommasèo parlando d'un suo discorso giovanile « molto rettorico » intorno alla moneta 2, dove quella che doveva essere piana esposizione di fatti era diventato un << predicozzo », ci dice che un suo amico di buon senso, il Marinovich, «lèttolo, gli fece amorevolmente intendere ch'ell'era una cria; e sorridendo gli disse una parola sapiente, che allora gli parve amara a mandar giù: E' ci vorrebbe dietro agli scrittori (come dietro a quell'oratore antico) un flauto che li aiutasse a intonar giusto... Motto che, rimastogli fisso in mente, gli fu sempre dall'esperienza illustrato. E conobbe

1 DELLA Casa, x.

• Memorie poetiche, Venezia, Tip. del Gondoliere, 1838, pag. 124.

come lo sbagliare l'intonazione o l'azzeccarvi, è quel che distingue l'uomo sano e maturo dal ragazzo, dallo sciocco e dal matto». E così queste avvertenze ci fanno intendere che il parlare è atto umano, o morale; e però, nascendo dall'abbondanza del cuore, ma dovendo pur aspettare, per venir bene alla luce, il consiglio della ragione, non solo l'affetto e il volere, ma anche il giudizio, l'improntano delle qualità proprie, che naturalmente si fanno qualità dello stile.

Come si vede, la materia che è soggetto del discorso è già elaborata nella mente di chi parla dalle notizie raccolte per esperienza propria od altrui; il che vuol dire che delle cose egli s'è formato concetti, i quali senza dubbio valgono in quanto ad esse rispondono, ma possono rispondere in vario modo, secondo il vario ingegno degli uomini e però questa elaborazione comprende anche l'opera dell'ingegno, differente secondo la potenza di esso e la rapidità nel cogliere i rapporti tra le cose a primo aspetto lontane e differenti, e piuttosto certi rapporti che altri; cioè secondo la sua natura. Così, per esempio, tra l'uomo e la donna è quella differenza che è tra la forza del ragionare e del fare e la virtù dell'amare e del patire. « Dalla quale virtù l'intelletto femminile acquista talvolta rapidità e chiarezza tremenda, perchè fortemente associate sono le idee quando le stringe il vincolo del dolore » 1 e dell'amore. E questa differenza di natura tra l'ingegno femminile e il maschile, anch' essa, come tutti sanno, impronta di sè la volontà e quindi si riflette nello stile. Nè meno ci si riflette l'intensità e la commozione del sentimento: poichè il parlare, specialmente della poesia e della pratica, animato dall'affetto, naturalmente si dispone e vibra secondo il moto e il tono di esso; quindi tanti modi nel comporre e disporre le idee e le parole, e tali differenze

1 TOMMASEO, La donna, Milano, Agnelli, 1872, pag. 255: cfr. GIULIA MARTELLI, N. T. educatore, nella Rassegna nazionale del 1o luglio 1898.

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